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Direzioni Diverse Stanislavskij Verso Il Sistema Mejerchol'D Verso La Biomeccanica

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Indice

Introduzione

Un incontro, il Teatro d'arte Čechov e Stanislavskij, il realismo psicologico La morte di Čechov, rinnovamento Il Teatro-Studio, un fallimento La fuga di Stanislavskij, riflessioni sull'attore Mejerchol'd al teatro Komissarževskaja Stanislavskij, Suler e il Simbolismo Il Balagan di Blok/Mejerchol'd Il Sistema è nato Mejerchol'd e il dramma musicale Verifica e conferma del Sistema Il Sistema Mejerchol'd e la Casa degli Intermezzi L'Amleto di Craig e Stanislavskij Un Don Giovanni un po' stravolto Il Primo Studio Mejerchol'd e il grottesco Le conclusioni dello studio di via Borodinskaja Stanislavskij si allontana dal Teatro d'Arte La recitazione dell'identificazione emotiva L'Ottobre Teatrale La Biomeccanica

Bibliografia

Introduzione

Mejerchol’d è un tipo strano, contraddittorio, sconclusionato, dalla vena sperimentale. Affascinante perché privo di obiettivi, la sua è una ricerca discontinua che non ha un fine, propone miriadi di soluzioni, sempre ottimali, d’avanguardia nonostante la sua volontà di non distaccarsi dal passato. Mesce l’innovazione alla tradizione e fa del suo teatro un punto interrogativo aperto a varie risposte, risposte rifiutate dalla sua realtà ed esaltate dal futuro che vede in questo regista non russo del tutto, il creatore di una teatralità assurda e piena di significato, che si sofferma sulla mente e sul corpo e tocca gli spettatori con la sua capacità di plastificare i sensi e dare corpo all’astrazione. E’ il corpo il mezzo con il quale esprimere il pensiero, ma non solo il corpo: gli oggetti, il teatro come struttura, il pubblico e quel che non c’è. Mejerchol’d va oltre la fisicità delle cose attraverso la fisicità stessa delle cose. Mejerchol’d dà vita al vero teatro, quello della finzione che s’incrocia con la realtà, una realtà confusa e piacevole, fantasiosa e non sempre percepibile. L’attore: come Mejerchol’d concepisce questa figura? C'è di fatto che c'è l'attore non è mai del tutto umano sia in teoria, sia in pratica. Seguiamo le tracce lasciate dal regista, attenzione! c’è la possibilità di perdersi o cadere in un percorso teatrale così contorto. Mejerchol’d s’incontra e si scontra con Stanislavskij. Un rapporto di amore ed odio, di rispetto e contrasto nato all’interno del Teatro d’arte. Stanislavskij, anche lui un po' come Mejerchol'd non ha le idee ben chiare. Da maniaco dell'oggetto, si dimentica del mondo materiale per capire in che modo l'attore possa risultare vero sulla scena. Sperimenta in nome della verità, e la verità la si conquista, non nel vivere la quotidianità ma nel penetrare gli abissi inesplorati nei quali navigheranno i simbolisti. Stanislavskij supererà tante crisi e il suo Sistema non sarà incompreso quanto la Biomeccanica mejerchol'diana. Saranno entrambi sconvolti dalla Rivoluzione, e c'è chi come Mejerchol'd che ci si butta dentro di brutto, facendo del teatro la finestra del popolo, delle innovazioni e del comunismo. Stanislavskij fugge in America per poi ritornare in Russia. Anni in cui il Sistema verrà ottimizzato e diverrà, a tutti gli effetti, la base della recitazione contemporanea.

Direzioni diverse. Stanislavskij verso il Sistema, Mejerchol'd verso la Biomeccanica.

1. DA UN INCONTRO, IL TEATRO D’ARTE

1. Nemirovič-Dančenko e Stanislavskij Il drammaturgo, critico e impresario teatrale Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko (1858-1943) chiama a sé, inviandogli una lettera, l'attore ed emergente regista, e futuro teorico Kostantin Seergevič Aleeksev (1863-1938) – già noto al mondo teatrale russo con lo pseudonimo di Stanislavskij – che allora dirige, grazie alle dritte del regista Aleksandr Fedotov l'Obščestvo iskusstva i literatury (Società d'Arte e Letteratura), teatro semi-professionale fondato nel 1888, grazie ai finanziamenti del padre, che inizialmente un po' scettico, sceglie infine di assecondare l'indole creativa del figlio. E' il 19 giugno 1897. I due s’incontrano al ristorante dell'albergo Slavjanskij Bazar a Mosca, ritrovo prediletto da attori e autori – dal Malyj Teatr ai piccoli teatri – per l'atmosfera intima e semplice. Da una conversazione di circa diciotto ore, nella quale si affrontano le diverse problematiche, che tendono a incidere negativamente sul teatro russo, nasce il “Moskovskij Chudožestvennyj Teatr” (MCT), da noi conosciuto come il Teatro d'Arte di Mosca, che nel 1919 riceverà lo statuto di “Teatro Accademico” (MCHAT). Usciti dal ristorante, s’incamminano e prendono il treno in direzione “casa Alekseev” muniti di carta e penna. Annotano i cambiamenti da eseguire. Entrambi si pongono come primo obiettivo, quello si spogliare l'attore da capricci, difetti, smanie patetiche e vizi. La disciplina regnerà durante le prove come sul palcoscenico. La recitazione abbandonerà i soliti toni enfatici da divi megalomani. L'attore, come la scenografia, l'illuminotecnica, la regia lavorerà al servizio del testo, rendendo la sua vera essenza. Complicarsi l'esistenza pur di non alterare le sue volontà. La scelta dei testi toccherà una drammaturgia nuova. Si abbandonerà il vecchio repertorio e si eviterà di riciclare cliché non più adatti alla rappresentazione di opere che vertono sul presente. Sarà Nemirovič a occuparsi della scelta dei testi, Stanislavskij ha completo arbitrio sulla messa in scena. La preparazione dei primi spettacoli ci rende degli attori che non si limitano a studiare meccanicamente il ruolo assegnato ma tentano di ridonare vita ai propri personaggi. Talvolta, la troppa libertà genera disastri ed ecco che Stanislavskij interviene e impone le proprie visioni, tanto da essere descritto da voci nemiche e poco informate – Stanislavskij renderà pubbliche le proprie scoperte sulle tecniche della recitazione, teorizzandole dagli anni 20 del novecento – come un vero e proprio dittatore. Il primo spettacolo del Teatro d'Arte risale alla fine del 1898. Sino all'inizio di quell'anno Nemirovič e Stanislavskij s’impegna nella selezione degli attori. Attori come M. Germanova, O.Knipper, V. Mejerchol’d, N. Litovtseva I.Moskvin, M. Roksanova, M. Savitskaya provengono dalla Scuola di Arte Drammatica della società Filarmonica, dove Nemirovič è insegnante in un corso di recitazione. Altri, come M. Andreeva, A. Atrem, M. Lilina provengono dalla Società di Stanislavskij. Il Teatro d'Arte esordisce il 14 ottobre 1898 con Car' Fëdor Joannovič (Zar Fëdor Joannovič), testo firmato da Aleksej Konstantinovič Tolstoj. La preparazione ha luogo in una tenuta estiva, nel villaggio di Puškino, non lontano da Mosca, nel giugno dello stesso anno. << Stanislavskij impose l'abitudine dei ritiri […] in cui tutta la compagnia conviveva in una sorta di regime monastico, suddividendosi senza gerarchie le pratiche del quotidiano e dedicandosi a tempo pieno all'analisi del testo con prove a tavolino>>[1].Gli attori, al di fuori delle prove, dal mattino al pomeriggio inoltrato e dalla sera a tarda notte, compiono gesti di natura quotidiana come il cucinare o il pulire o si dilettano comunque con la creatività, pittura e bricolage sono pochi esempi. Gli attori vivono in nome della verità. Loro intento è di rendere sulla scena quella stessa verità che attraversa loro, giorno per giorno. Finzione censurata. La fascinazione che Stanislavskij prova nei confronti delle messe in scena della compagnia del duca Giorgio II di Saxe-Meiningen pare non aver fine. E talvolta la sua smania dell'oggetto, l'ossessione di una riproduzione che sia perfettamente fedele all'epoca narrata – che più che evocata, è in tutti i sensi rivissuta – tende a soccombere gli attori. Perché l'occhio dello spettatore cade sulla magnificenza scenografica e si abbandona tra le braccia della “materia” seduttrice. Quest’ossessione, la volontà di voler riprodurre fedelmente luoghi e atmosfere legate alla Russia della prima metà del cinquecento, fa si che Stanislavskij se ne vada in giro per Volga e dintorni, pur di trovare documenti, oggetti, tutto ciò che potessero appartenere a quel passato così remoto, narrato da Tolstoj. 2. Car' Fëdor Joannovič Gli attori non hanno freni. Gestiscono liberamente la costruzione del proprio ruolo. Traggono ispirazione da arredi, vestiario. Seguono il proprio maestro con dedizione, alla ricerca di atmosfere (camminano per boschi, visitano chiese). Plasmano i personaggi da interpretare su iconografie, supportano la gestualità con oggetti o semplicemente riproducono possibili toni, movimenti, che secondo l'immaginario, secondo il detto o lo studiato potessero essere ricondotti all'epoca nella quale ci si tocca immergere. Stanislavskij consente loro di sperimentarsi, di congiungersi con le proprie creature. Attore e personaggio, un tutt'uno. Ricerche estetiche, che purtroppo pare non abbiano soddisfatto le aspettative di Stanislavskij, che a pochi giorni dalla prima, s’impone del tutto sui propri attori, indicando loro azioni, strutture, movimenti, intonazioni. L'accurato realismo, che desta ammirazione da parte del pubblico e della critica non oscura del tutto gli attori, che grazie ad alcune trovate teatrali, non poche riciclate, sono in grado di suscitare qualche risata in sala. I boiari stanislavskjiani si muovono lenti, impediti dai ricchi abiti, nell'universo russo degli sprechi. Dalla “bottega delle minuzie”, come l'ha battezzata A. M. Ripellino, è l'attore Moskvin, l'unico a non soccombere del tutto. Nel ruolo di uno zar un po' inetto, appesantito dal costume tipicamente moscovita, tende ad anticipare inconsciamente i prototipi di personaggi con i quali Stanislavskij supererà se stesso, i tristi personaggi che incombono i testi del drammaturgo Anton Pavlovič Čechov.
2. ČECHOV E STANISLAVSKIJ, L REALISMO PSICOLOGICO Nemirovič-Dančenko riesce a persuaderlo. Finalmente Čajka (Il Gabbiano) – dramma in quattro atti, scritto nel 1895 – sul palcoscenico del Teatro d'Arte. Nemirovič avrebbe preferito esordire sin da subito con il testo del suo tanto amato drammaturgo – amato e ammirato a tal punto, da rifiutare il Premio Griboedov attribuito al proprio dramma Cena žizni (Il valore della vita), sostenendo che Il Gabbiano fosse senza ombra di dubbio un'opera superiore rispetto alla sua – ma Čechov si rifiuta, come si rifiuta di scrivere ancora per il teatro. Čechov, stordito dal fallimento al Teatro di Stato di San Pietroburgo, l'Aleksandrinskij, teme di umiliare nuovamente la propria opera. La regia non è stata in grado di rendere la complessità e la bellezza celata del testo. Le prove, svoltisi nella fretta più assoluta, non hanno dato modo agli attori di capirne il senso. La quotidianità descritta da Čechov, i rapporti deleteri, le illusioni, gli amori non contraccambiati, le morte speranze, i distacchi di classe sono mostrati banalmente, il pubblico ne è profondamente annoiato. C'è un qualcosa che non va nell'orchestrazione di tutta la messa in scena. La Komissarževskaja, grande interprete dell'epoca si perde del tutto, è smarrita, le sue corde non suonano, silenzio. Čechov scappa dalla sala, molto irritato e arrabbiato. E il sangue di Čechov si fa nuovamente amaro per aver mostrato debolezza nei confronti di Nemirovič E' sicuro di un ennesimo disastro e attende nell'ansia degenerante la prima dello spettacolo. Alla fine non può che complimentarsi con Stanislavskij. Ma questi complimenti non negano qualche critica. Più lettere testimoniano che il Trëplev, interpretato da Mejerchol'd, come il Trigorin (lo scrittore) interpretato dallo stesso Stanislavskij, fossero un po' lontani dall'immaginario dello scrittore e tende a descriverli brutalmente <<Stanislavskij interpreta Trigorin, quasi fosse un dandy che per nuotare, indossa pantaloni bianchi e scarpe eleganti invece che pantaloncini e scarpette da ginnastica>>[2]. Il Gabbiano diretto da Stanislavskij comunque sia, risplenderà di un tale successo, che stesso Čechov farà del Teatro d'Arte la propria casa. Čechov sarà entusiasta, a parte qualche turbamento. Al Gabbiano seguiranno rappresentazioni di Zio Vanja, Le tre sorelle, Il giardino dei Ciliegi.
3. Čechov e gli attori del Teatro d'Arte Cos'è che ha reso innovativa e speciale questa messa in scena? Sangue amaro non solo per Čechov, ma per lo stesso Stanislavskij. L'amante dei particolari, della natura, dell'estroso, del mastodontico, dell'eccesso e dell'eccentrico è costretto a confrontarsi con un testo buio, grigio, dall'esistenza triste, banale, un dramma nel dramma che a suo parere non ha nulla di teatrale. E come se Stanislavskij, ancora un po' bimbo, fosse stato privato dei suoi giochi. E' in pratica impossibilitato nel divertirsi nei propri allestimenti da “negozio di antiquariato”. Il Gabbiano diviene per il regista una sfida con se stesso, l'incipit di un cambiamento, di una maturazione. Il Gabbiano si rivelerà terreno fertile per sperimentazioni, innovazioni e soluzioni registiche assolutamente straordinarie. Il maniaco della materia smuoverà gli animi di attori e spettatori. Čechov, inconsciamente, pone tra le mani di Stanislavskij, le chiavi del cosiddetto “realismo psicologico”. E con Il Gabbiano che Stanislavskij si concentra totalmente sull'attore, anche se sin dalle prime esperienze teatrali che lo vedono recitare, egli si pone domande essenziali su di esso. Le vite monotone di Cechov gli consentono di percorrere con i propri attori le strade più intime dell'essere, di correre su diversi campi di percezione, di penetrare le sensazioni e di esplicitarle visivamente con segnali impliciti. Con Il Gabbiano l'astratto si concretizza. Il Gabbiano, è una fitta rete di significati nascosti, che Stanislavskij, attraverso la propria regia farà venire a galla. E' se si può definire senza dubbi un vero e proprio dramma naturalista, si può definire senza dubbi anche un dramma simbolista. Una contraddizione. Quella contraddizione che è tipica dei mutamenti sociali d’inizio secolo. Nasce un nuovo stile di recitazione, che diverrà lo stile che contraddistinguerà il Teatro d'Arte dal resto. Gli attori scandiscono le parole con cadenza naturale. I toni non sono per niente artificiosi. Gli attori si guardano intensamente e gli occhi non si scrollano facilmente tra loro. Le battute sono contrassegnate da lunghe pause, bianchi spazi meditativi ungarettiani. Pause e silenzi creano l’atmosfera. Gli stati d'animo dei personaggi, lì dove il testo si presenta più ermetico è evidenziato da giochi di luce. La partitura di luce, come anche quella dei rumori, talvolta tendono a contrastare il non detto. Il ruolo di Treplëv è interpretato da un attore emergente, che si accanirà nei confronti di Stanislavskij e che creerà la Biomeccanica, Vsevolod Mejerchol'd. Il lavoro sul personaggio di Treplëv – regista, che tenta con la messa in scena di un proprio dramma, una cesura con il teatro naturalista, cimentandosi, con quello simbolista, ridicolizzato non poche volte dalla madre e innamorato di Nina, alla quale regalerà simbolicamente un gabbiano morto – lo smuove a pensare. Da sostenitore accanito dei principi naturalisti sui quali Stanislavskij orchestra le proprie messe in scena, si allontanerà da tutto. Proprio come Treplëv, ha intenzione di distaccarsi da quel teatro che non c'è più, perché diventato routine, e proprio come Treplëv scappa. Treplëv, scappa alla vita, suicidandosi, Mejerchol'd scappa dal Teatro d'Arte, stimolato dalle critiche nei confronti di alcune scelte registiche stanislavskijane da parte dell'amico Cechov – col quale intrattiene un intimo rapporto epistolare, alcune lettere anticipano i principi su quali si baserà la Biomeccanica – che riesce a far sue. Mejerchol'd ha le idee chiare: sarà regista e farà tesoro degli insegnamenti del maestro, insegnamenti che gioveranno ai primi spettacoli della sua compagnia, ma nel 1903, taglio netto con la realtà reale, la realtà che rappresenterà sarà una realtà colorata, contraddittoria, grottesca, onirica, surreale. <<La vita va raffigurata non così com'è, e non come dovrebbe essere, ma così com'è rappresentata nei sogni>>[3]dice Trëplev alla sua tanto amata Nina.

3. LA MORTE DI ČECHOV, RINNOVAMENTO

Nel 1902, anno in cui Mejerchol'd abbandona la compagnia di Nemirovič e Stanislavskij, sul palcoscenico del Teatro d'Arte è messo in scena Bassifondi di Maksim Gor'kij. Gli attori si confrontano col vero e proprio naturalismo. Costumi, oggetti, scenografia, tutti gli elementi scenici continuano a essere per gli attori l'incipit per impossessarsi dell'interiorità dei personaggi da far vivere. Stanislavskij, sempre più meticoloso, annota e indica agli attori come muoversi e come intonare le battute. Nel 1904 Čechov muore. Nemirovič tralascia i suoi drammi come tutto il vecchio repertorio per accostarsi e cimentarsi con il simbolismo. Stanislavskij è smosso dalle riflessioni dei letterati simbolisti che già da un paio d'anni biasimano l'inclinazione disincantata del Teatro d'Arte. Valerij Brjusov, poeta e critico letterario e teatrale, afferma che il mondo rappresentato dal teatro non è quello vero, non può essere vero, si tratta comunque di finzione. Nell'articolo Una verità utile attacca il Teatro d'Arte. La realtà deve essere suggerita e non contraffatta. Voce e corpo devono sottomettersi alla forma dell'opera recitata. Perché quindi affannarsi a riprodurre la realtà che sul palcoscenico sarà sempre e comunque diversa? Il teatro per i letterati simbolisti ha una sola funzione, far sognare. Il primo tentativo di Stanislavskij di immergersi nell'incomprensibile retaggio simbolista è con la messa in scena de L'intrusa, I ciechi e L'interno, tre atti unici firmati da Maurice Maeterlinck, ma i risultati dell'esperimento sono negativi. I testi di Maeterlinck rivelano l'invisibile. Si parla poco, non c'è storia, c'è sogno, c'è incubo, ci sono tinte forti, tradizione e superstizione. Tutto è morto, non vi è presenza dell'uomo. Le soluzioni registiche sino allora testate entrano in conflitto con i testi simbolisti, sono antiquate. Il contenuto di questi drammi simbolisti mettono in risalto – molto più di quelli naturalisti – che il contributo della vita dei performer è vitale per l'esplorazione della loro qualità eterea e 'spirituale'. Sfortunatamente i suoi attori non erano equipaggiati per bilanciare le richieste tecniche della rappresentazione con il contenuto esoterico dei drammi. I corpi dei suoi attori sono molto limitati rispetto a ballerini e ginnasti. Per alleviare i propri dubbi, si rivolge ai nuovi metodi esplorati da Mejerchol'd.

4. IL TEATRO-STUDIO, UN FALLIMENTO

E' 1905. Stanislavskij, con l'intento di ricercare le forme adatte per mettere in scena la drammaturgia simbolista maeterlinckiana, chiede a Mejerchol'd di tornare e di affiancarlo nella direzione di una compagnia sperimentale. Il laboratorio, denominato Teatro-Studio, in via Povarskaja, è una succursale del Teatro d'Arte. Attori e registi, liberi dalle incombenze degli spettacoli, s’impegneranno nell'elaborazione di nuove tecniche recitative, come registiche, che superino il naturalismo e tutte quelle correnti che vogliono a tutti costi riprodurre la realtà così come non riuscendoci. Primo intento è quello di cercare <<un diverso rapporto con il testo e si elimina dalle prove la cosiddetta “lettura a tavolino”, affidando direttamente il testo alla recitazione creativa degli attori>>[4]. Un nuovo sogno quello di Stanislavskij, rendere il Teatro d'Arte un teatro di avanguardia. Al Teatro-Studio è allestita La morte di Tintagiles. I pittori N. Sapunov e S. Sudejkin – appartenenti alla Rosa Scarlatta, gruppo fondato nel 1905 – si servono dello spazio scenico in piano. Sono i colori con le proprie sfumature a plasmare i quadri sui quali gli attori appaiono come figure in bassorilievo. Mejerchol'd indica ai propri attori movimenti lenti, gesti muti. L'immobilità precede le battute. Mejerchol'd è sempre più propenso a uno studio che tocca il corpo. Stanislavskij penetra dentro. Direzioni diverse: nel giro di non molto, il Teatro-Studio chiude i battenti.

5. LA FUGA DI STANISLAVSKIJ, RIFLESSIONI SULL’ATTORE

Nel 1906 Stanislavskij fugge in Finlandia. E' in crisi. Odia recitare. In Germania è incerto nei movimenti, falso nelle espressioni, la voce indebolita perde accenti, manca di concentrazione e di interesse per colleghi e pubblico. Analizza il proprio passato di attore e regista alla ricerca di un rimedio. Le riflessioni, che lo accompagnano a passeggio, lo conducono alla scoperta dello “stato d'animo creativo”. Ha in mente gli attori che più stima. Ricorda il pubblico, folgorato dall'aura da loro emanata. Sono coinvolti, concentrati, disinvolti, entusiasti. Tutto ciò che li circonda, risente di tale stato e si trasforma in arte. Tale stato è frutto della convinzione e dell’immaginazione. E' l''irrazionale a smuovere lo stato d'animo creativo. Sfugge totalmente dal controllo razionale e di conseguenza risulta impossibile evocarlo a piacimento poiché si tratta di una condizione più che inconscia. Stanislavskij ha qualche idea su come richiamarlo a sé poco spontaneamente, ipnosi o esercizio fisico. Stanislavskij ha un nuovo intento: ammazzare i limiti degli attori scatenando la loro creatività. Al suo rientro, Nemirovič-Dančenko e i membri della compagnia, lo danno per matto. Nessuno pare assecondarlo e dargli retta, sperimenterà le proprie teorie su di sé.

6. MEJERCHOL’D AL TEATRO KOMISSARŽEVSKAJA

Nel frattempo, Mejerchol'd è a San Pietroburgo. Lavora presso il Dramatičeskij Teatr (il Teatro di via Oficérskaja) di Vera Komissaržévskaja. Tra il 1906 e il 1907 redige un articolo dal titolo Ki storii i tchnike Teatra (Storia e tecnica del teatro). Esplica la sua concezione di “Teatro della Convenzione”, teatro anticipato da Maeterlinck, che si basa su elementi elaborati dai simbolisti V.Brjusov e Ivanov: la convenzione cosciente e l'azione dionisiaca. Il metodo Convenzionale prevede la presenza del cosiddetto “quarto creatore”, che si aggiunge ai binomi autore-regista, regista-attore. Lo spettatore, con la propria immaginazione, completa creativamente la messinscena. Il regista è colui che fonde le anime dell’attore e dell’autore. L’attore è liberato dalla scenografia, lo spazio tridimensionale è tutto per se, e può riempirlo del proprio corpo, della “propria plasticità naturale”, come dice lo stesso Mejerchol’d, che crea linee che tendono a mescersi con i colori. Il teatro è in sostanza smontato. La macchina teatrale distrutta. L’attore non dipende da nulla, se non dal proprio movimento, che crea movimento. Quello di Mejerchol’d potrebbe annunciare un ritorno a un teatro antico, dove l’attore è vicino allo spettatore, libero di tutto, ed è in grado si smuoverlo, di renderlo attivo. Nella sua semplicità, nella sua immobilità, il Teatro della Convenzione, secondo Mejerchol’d esprime molto più del Teatro Naturalista, che tende a perdersi, tra mille oggetti e mille pose. Di là della voce e del corpo, vi è il nulla, questo nulla spetta al pubblico riempirlo. I primi spettacoli testimoniano spazi ridotti, scena e platea in stretto contatto. L'Hedda Gabler di H. Ibsen dell'autunno 1906 è un quadro, gli attori, macchia di colore. Su una tela, i gesti, i movimenti dell’attore sono ben delineati, puliti, perfetti sempre secondo il regista. In Suor Beatrice – rappresentata il 22 novembre dello stesso anno, scritta da Maeterlinck – gli attori, spesso di profilo, scandiscono le battute lentamente, sospese l'un l'altra da lunghe pause, si dimenano dolcemente in uno spazio bidimensionale. Beatrice è al centro dell'affresco di chiara ispirazione giottiana. Tutte intorno le suore in grigio-blu. Sequenza in slow-motion, gesti sincronizzati e dilatati, eterni. Nell'inverno del 1906, a febbraio Mejerchol'd dirige La vita dell'uomo di L. Andreev. Gli attori singoli o in gruppo, sono predisposti perpendicolari ai fasci di luce debole che creano lo spazio scenico. Il palco è nudo, pochi i mobili di dimensione enorme. L'attività mentale del pubblico è stimolata dalla deformazione e dalla selezione.

7. STANISLAVSKIJ, SULER E IL SIMBOLISMO

C'è chi è rimasto colpito dalle nuove scoperte stanislavskijane. Si tratta di Leopol'd Sulerzickij, il tuttofare del Teatro d'Arte. Gor'kij lo chiama Suler ed è proprio lo scrittore a presentargli Stanislavskij. Suler non ha alcuna preparazione attorica ma è dotato di talento in più campi artistici. Suler condivide la teoria dello stato d'animo creativo. L'attore, per recitare ad alti livelli, deve sprigionare tutto il potenziale creativo, che gioca a nascondersi nelle zone più remote della propria mente. Questo potenziale può emergere, esclusivamente attraverso allenamenti fisici e psico-fisici. Suler racconta agli allievi dei duchobory, di come meditano sulle azioni da compiere prima di agire. Immaginano dettagliatamente queste azioni seguendo un ordine cronologico. Si tratta di un esercizio yoga che calma e rende sicuri. Stanislavskij vuole Suler al suo fianco, come assistente. Suler accetta ma ricorda all'amico il suo essere “vagabondo”. Nemirovič è irritato dalle continue “genialate” deludenti del regista e minaccia di abbandonarlo. Il nuovo duo progetta delle attività innovative per far fronte a un repertorio mai sperimentato. Ben sappiamo che gli esperimenti simbolisti di Stanislavskij hanno risultati pessimi ma Suler lo invoglia a non arrendersi. Una soluzione c'è secondo Suler ed è quella che vede una regia che giochi tutto su viso e mani, tralasciando il resto del corpo. Viso, mani e interiorità. Le anime degli attori un tutt'uno con quelle degli spettatori.

8. IL BALAGAN DI BLOK/MEJERCHOL’D

31 dicembre 1906 è la data della prima di Balagančik (Il baraccone da fiera). Un miscuglio di arti che scinde critica e pubblico. Il balagan è effettivamente questo: in occasione di festa s’innalza un baraccone ove si compra, si assiste ad allestimenti, ove le arti si prestano tutte al servizio del pubblico delirante. Sono presenti attori in grado di far tutto. I balagany di Penza, ai quali Mejerchol'd assiste da piccoletto, gli han stuzzicato l'immaginazione: marionette quasi umane, acrobati, giostre assassine; un mondo colorato, rumoroso, pericoloso, divertente e nostalgico. Mejerchol'd ha tutta l'intenzione di trascinare il caos sul palcoscenico della Komissarževskaja. Il baraccone da fiera firmato da Block denuncia la menzogna, il teatro realistico con toni semplici, ma talvolta anche esasperati, tutto è ridicolizzato. Sulla confusione è regina una sola regola, quella dell'antiillusione. L'autore è pronto a definirlo una piccola fantasmagoria come anche un dramma lirico. Il testo come la messa in scena è una contraddizione, la contraddizione di una personalità, della storia, della società, del teatro, dello stesso Mejerchol'd. Non destra alcun segno di linearità. E' un susseguirsi di trucchi, di pezzi che non ha posto in un puzzle, ma appartengono a quel puzzle. Nel suo essere giocoso e gioioso, nel suo prendere in giro mette a nudo la complessità del nuovo mondo, quello moderno. Il Pierrot di Mejerchol'd fa ridere, fa piangere, c'è da uscirne pazzi. E' umano, non umano. Si muove meccanicamente, confonde registri. I personaggi del Balagan sono metaforici, psicologicamente scissi, quasi schizofrenici. L'uomo scompare sotto la maschera, rivelatrice di verità. Tra personaggi bizzarri, musichette riprodotte da organetti e tamburi, uno spazio scenico irreale, si esce dalla sala completamente storditi dalla confusione di una finzione che ci ha gettati nella più sconfortante verità, che diverte.

9. IL SISTEMA E’ NATO

Usciti dal teatro della Kommisarževskaja, ci si dirige verso un altro, quello d'arte, dove in sala è possibile assistere alla messa in scena de Il dramma della vita di Knut Hamsun. E' il febbraio del 1907. Stanislavskij concentrando la regia su mani e volto non si rende conto di quanto abbia messo in difficoltà i propri attori, tensione muscolare ai massimi livelli. Il pubblico non pare aver apprezzato questo tentativo di congiungimento tra attore e spettatore. La coppia non si stranisce. Il loro è un semplice esperimento. A distanza di dieci mesi propongono La vita dell'uomo di Andreev. Gli attori, vestiti di nero, si scagliano su uno sfondo, anch'esso nero. Agli occhi degli spettatori risultano esclusivamente volto e mani. Il resto del corpo può muoversi liberamente. Gli attori recitano grottescamente e stilisticamente. Il duo ottiene credibilità e amore da parte del pubblico. A nascere è il teatro della verità spirituale e dell'astrazione, a nascere è il Sistema di Stanislavskij.Nel 1908 tocca all'Uccellino Azzurro di Maeterlinck. Messa in scena di successo ma Stanislavskij ha qualcosa da ridire sulla recitazione che tende a variare da rappresentazione a rappresentazione. L'ispirazione dell'attore viene talvolta a mancare. L'ispirazione, un brutto punto interrogativo che continua ad affliggere la mente di Stanislavskij.

10. MEJERCHOL’D E IL DRAMMA MUSICALE

Intanto, Mejerchol'd, accusato un po' da tutti, di aver reso gli uomini delle marionette, è licenziato dal teatro. Nel 1908 è regista all'Aleksandrinskij e al Marinskij, ma mette piede anche in teatri poco noti, dove si concede di sperimentare qualsiasi genere. Mejerchol'd o il Dottor dappertutto, pseudonimo ispirato dal ciarlatano hoffmaniano ha la possibilità, al Marinskij, di confrontarsi con il dramma musicale. Non allontanandosi molto dalle teorie appiane, M. parla di regia assoggettata alla musica. L'azione è smossa dalla musica; l'immagine plastifica il sonoro. Il dramma musicale si rivela per Mejerchol'd l'ennesima arma per ferire o finalmente ammazzare il naturalismo teatrale. I cantanti devono seguire meticolosamente la musica. L'attore mejercholdiano esplicita nello spazio, il tempo musicale. Gesti contenuti, il resto è la musica a esprimerlo. Nel 1909 è messo in scena il Tristian und Isolde di Richard Wagner. Il palcoscenico è suddiviso in due piani. Il primo, quello degli attori è coperto da praticabili di altezza differente che consentono ai corpi di muoversi come onde ritmiche. I cori immobili offuscherebbero la magia di Caillot..

11. VERIFICA E CONFERMA DEL SISTEMA

Nella primavera del 1909 Stanislavskij si concede altri esperimenti. Il testo che fa da cavia è Un mese in campagna di Turgenev. Il realismo psicologico che impregna il dramma consente di testare i primi elementi del Sistema. Suler spiega ai propri allievi, non solo come la tensione corporea dipenda dal controllo della respirazione, ma anche insegna loro anche come concentrarsi sugli oggetti e come ampliare questa concentrazione sul resto del palcoscenico. Gli attori si dilettano in giochi da bimbi che dovrebbero consentire loro di emulare quell'ingenuità infantile con la quale i bambini sono in grado di creare un qualcosa dal nulla. Lo stato d'animo creativo necessita esclusivamente di concentrazione, ingenuità e rilassamento. L'attore deve essere capace di comunicare i pensieri che frullano nelle teste dei personaggi, con il proprio spirito. Primo mezzo sono gli occhi. L'attore deve provare sentimenti vicini a quelli provati dalle vite di Turgenev. Per la prima volta agli attori è richiesto improvvisare: il testo di Turgenev è ridotto proprio per consentire loro di creare. Nemirovič prevede un fallimento, ma si sbaglia. Il Sistema stanislavskijano funziona e ha successo. Il Sistema diviene parte facoltativa della preparazione del Teatro d'Arte.

12. IL SISTEMA

L'attore è creatore. Per essere creatore si domina e sottomette alla volontà il proprio corpo. Il processo creativo nasce dal sé, l'attore agisce in una condizione fittizia, ove penetra, che gli provoca reazioni reali. Le circostanza date completano e giustificano il processo. L'attore completa le indicazioni resegli da autore e regista con la propria immaginazione. L'attore per mantenersi attento si concentra sugli oggetti. Il raggio dei piccoli cerchi si allarga da una zona a tutto il palcoscenico. I cerchi consentono all'attore di isolarsi da ciò che avviene in sala. L'attore, è soggetto spesso a tensione muscolare, sulla scena e al di fuori, deve mantenersi allenato per prevenire brutti scherzi da parte del proprio corpo, macchina imperfetta. L'attore sulla scena si serve della memoria esteriore che gli consente di riprodurre in maniera meccanica una scena, che nelle precedenti rappresentazioni, gli è ben riuscita. La memoria emotiva gli consente di proiettare in scena le proprie emozioni, che sono anche quelle del personaggio. E' la sua attività creativa a rendere quanto più ampia la gamma della sua memoria. L'attore, per ricorrere alla memoria emotiva, deve sempre caricarla. Alle esperienze passate deve aggiungerne di nuove, deve provare sempre nuove emozioni, e dopo averle vissute, deve riporle nel proprio cassetto che aprirà ogni qual volta vorrà riutilizzarle.
Lavorare sul personaggio, significa lavorare su se stessi, quindi rievocare il passato, contemplare l'immaginato, il sognato, rispolverare la libreria della propria anima e riaprire vecchi volumi dimenticati.

13. MEJERCHOL’D E LA CASA DEGLI INTERMEZZI

Nel 1910 s'inaugura La casa degli intermezzi. Mejerchol'd mette in scena La sciarpa di Colombina tratto da Il velo di Pierrette di Schnizler. La volgare provincia è denunciata da questi personaggi-maschere dall'aspetto orripilanti, un po' uomini, un po' animale. Gigolo, il destino, è un brutto pappagallo. Gruppi antagonisti, la danza, alterano le sensazioni. Irrompono tra il pubblico che ride, che è spaventato.

14. L’AMLETO DI CRAIG E STANISLAVSKIJ

Tra il 1909 e il 1911 Stanislavskij collabora con Craig nella messa in scena dell'Amleto shakespeariano. Tanti i problemi creati dalle visioni contrastanti dei due registi. Per Craig, l'attore è una marionetta da manipolare a piacimento, alla quale è negato qualsiasi intervento creativo personale. Craig cerca conferme delle proprie teorie <<sull'autonomia dell'azione scenica dal testo, ridisegnando in movimenti simbolici l'azione 'autocontrollata' dell'attore dell'attore per inserirla in uno spazio scenico plastico e mobile assunto a primo protagonista nella percezione dello spettattore>>[5]. Stanislavskij si concentra sull'attore e sulla paura che la reviviscenza sprofondi nel psicologismo, quindi cerca di riportarla sulla strada della creatività dell'attore e cerca silenziosamente di contenere la follia di Craig, che inserisce Amleto, in uno spazio astratto emblematico. Il suo Amleto appare minuscolo tra enormi pannelli, piattaforme, illuminati da ombre. Amleto rischia di impazzire tra i mostri che incombono la sua mente. La linearità registica di Stanislavskij equilibra i troppi elementi che rischierebbero una totale incomprensione da parte del pubblico. L'indole visionaria di Craig avrebbe ucciso inconsciamente un dramma come l'Amleto.
4. L'Amleto di Craig/Stanislavskij

15. DON GIOVANNI

Nel 1910 tocca al Don Giovanni di Molière ad andare in scena. Mejerchol'd tende a stravolgere il classico senza possedere le competenze adatte. La recitazione è basata sulla maschera e sulla coreografia. Don Giovanni, interpretato da J.Jur'ev è elegantissimo. Tra le contadine si muove aggraziato, eseguendo una raffinata danza antica. Le fiamme delle candele, con il loro tremolio, illuminano di mistero i movimenti degli interpreti. Sono già presenti elementi del teatro Kabuki. Alcuni attori come i Kurombo (ombre giapponesi) si apprestano rapidi, quasi invisibili, ad accendere candele, a suonare, ad allacciare le scarpette di Don Giovanni.

16. IL PRIMO STUDIO

Nel 1912 Stanislavskij per placare le ire di Nemirovic, stanco delle continue follie di Stanislavskij, si trasferisce con Suler in un’altra sede, l'ex cinema Lux, ove si realizzerà al Primo Studio. L'intento è trasformare l'animo degli attori giovani, che privi di manipolazioni, sono più propensi all'apprendimento delle nuove tecniche. E' la verità a ispirare le nuove forme d'espressione, solo attraverso di essa può ammazzare la menzogna. L'attenzione ai dettagli, secondo Suler, consente di captare la vita in tutte le sue sfaccettature. E' lui a tenere tutte le lezioni al Primo Studio, ma gli attori sono comunque chiamati a suggerire esercizi ed esperimenti. Nell'estate del 1912 Stanislavskij manda i propri allievi sul Mar Nero. Allestiscono, sotto la guida di R.Boleslavskij Il naufragio della speranza. Boleslavskij crea esercizi che creano ad atmosfere e a ritmo. Gli attori improvvisano, imitano animali, lavorano sulla memoria emotiva. Motivazioni psicologiche ed emozioni prendono forma. Profondità e semplicità contraddistinguono il Primo Studio.

17. MEJERCHOL’D E IL GROTTESCO

L'attore mejercholdiano è anche improvvisatore, ma gioca con il proprio corpo, si esprime con la maschera, è atleta. Attraverso il grottesco l'attore è libero dalla realtà. Il grottesco, nel suo essere contraddittorio e sintetico coglie la complessità. Mejerchol'd si diverte con i contrari e dalla fusione di questi nasce il suo teatro. L'idea di grottesco è ben esplicata dai Callot analizzati da Hoffmann. Questi personaggi estranei e familiari danno nuova coscienza agli attori. Il corpo è da impostare graficamente. Il corpo sfugge dal quotidiano. L'attore è acrobata, giocoliere e non solo e di conseguenza è leggero, rapido. Il corpo atletico è anche decorativo, è il corpo di un attore teatrale. L'attore è artificiale, sfrutta diverse intonazioni. L'attore mejerchold'iano è il caos che si nasconde dietro una maschera, una maschera che prende vita attraverso i movimenti del corpo.

18. LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO VIA BORODINSKAJA.

Nell’autunno del 1913 Mejerchol’d apre uno studio, noto come lo Studio di via Borodinskaja. Trattasi di un laboratorio, dove Mejerchol’d e allievi sperimentano nuove forme da utilizzare nelle future rappresentazioni. Gli allievi si dividono tra corsi di lettura musicale, di composizione scenica, di versificazione comparata. Mejerchol’d insegna la tecnica del movimento scenico. Mejerchol’d e Solov’ëv - che tiene un corso sulla teoria della composizione scenica e lo studio della tecnica scenica della commedia d’arte - collaborano apertamente con gli attori, ai quali è concesso manifestare iniziative creative. Sono analizzati dei canovacci per realizzarne di nuovi. Sono presenti elementi e personaggi base in tutte le possibili varianti. Il canovaccio è poi verificato in scena, dove gli attori manipolano e giocano abilmente con diversi oggetti di scena convenzionali come cappelli, spade. I movimenti qui tendono a rifarsi alla cultura orientale, sono movimenti che rispettano gli oggetti. Le leggi della composizione scenica possono fare a meno della letteratura. Da un lavoro teorico e poi pratico, fuoriescono i nuovi principi della recitazione che prevedono un’andatura scenica <<passo incrociato>>, che consente ai piedi di rimanere perpendicolari quando si cammina; un attore stabile, perché acrobata; una risposta rapida ai compiti richiesti; l’orientarsi nello spazio e l’ordinazione dei movimenti e dello spazio; il senso della misura; nell’esprimere la paura, l’attore si avvicina all’oggetto che ne è la causa (tecnica dello znak otkaza, segno di rifiuto). Solov’ëv conduce Mejerchol’d su una strada a corsia unica, la corsia del movimento. Il teatro può sopravvivere privo di tutti i suoi comuni elementi, a mancarci non deve essere l’attore con i propri movimenti. Il teatro è l’uomo che con il proprio corpo esprime il “tutto”. Gli esercizi che Mejerchol’d propone ai propri allievi sono di una semplicità imbarazzante. Tocca loro alzarsi, cadere, camminare, correre, far capriole, saltare. Ogni allievo è chiamato a intraprendere un qualsiasi sport. Il livello di complessità s’innalza quando l’attore lavora sul rapporto con i colleghi. Ogni attore deve porre la propria attenzione sul corpo degli altri e sugli spazi immaginari. Anche lo sguardo è da allenare, Mejerchol’d prende in considerazione i volti di Goya, Callot, Velazquez. Mejerchol’d tende a condannare la reviviscenza stanislavskijana. Le emozioni potrebbero turbare la misurata respirazione. La respirazione se non corretta rende inutilizzabile un corpo, il corpo e i suoi movimenti sottomessi alla musica, forma che comunque non li priva della libertà.

19. STANISLAVSKIJ SI ALLONTANA DAL TEATRO D’ARTE

Nel 1917 i bolscevichi irrompono a Mosca e requisiscono i teatri. Il Teatro d’Arte è stato completamente dimenticato. Stanislavskij, furbamente, invia una lettera al Comitato direttivo del Soviet, richiedendo una normativa. Stanislavskij può così continuare a lavorare, così da consentire al regime la creazione di un’immagine, da parte del regime, che non si discosti del tutto dal passato. Il teatro affronta gravi difficoltà economiche, tanto che la compagnia appare dimezzata, molti degli attori scappano a Praga. Difficoltà non solo economiche: il Teatro d’Arte affronta un nuovo pubblico, quasi del tutto ignorante, con la riforma di Lenin il aprirsi un laboratorio, prendervi parte era diventato “cosa” di tutti. Il teatro è di tutti. Limitati creativamente, rappresentano il repertorio affrontato in passato, tanto da divenire il simbolo della vecchia Russia. Sempre più freddi i rapporti tra Stanislavskij e Nemirovič. Stanislavskij non ha alcuna intenzione di fare propaganda, ma non digerisce la passività sociale. Sostituito da Nemirovic che avrebbe diretto l’adattamento di un testo di Dostoevskij, Stanislavskij si allontana dal teatro d’arte, dedicandosi al proprio Sistema. Nel 1918 è al Teatro Bol’šoj. Il Sistema entra nel mondo dell’opera. I cantanti si concentrano sulla tecnica e non sull’espressione. Durante le prove del Faust un baritono intona l’aria di Valentino privo di anima. Il suo canto è rivolto a Stanislavskij, dovrebbe essere rivolto a Dio, come gli ricorda il regista. L’aria è una preghiera. Il baritono rimembra di quanto da piccolo pregava inginocchiato a un’icona. Il suo canto è adesso umano.

20. LA RECITAZIONE DELL’IDENTIFICAZIONE EMOTIVA

Nel 1921, come risposta ad alcune pubblicazioni, basate su elementi discutibili, poiché il Sistema è stato sempre ben tutelato dal suo creatore, Stanislavskij, sulla Teatralnaja kul’tura, fa apparire un saggio dal titolo Mestiere, nel quale scrive di tre tipi di recitazione: quella di mestiera, quella rappresentativa e quella dell’identificazione emotiva. Soffermiamoci sulla terza, che sintetizza i fondamenti del Sistema. Le emozioni che l’attore vive sulla scena sono le proprie. L’attore ricrea le “circostanze date” indicate da autore e regista e immagina i dettagli esteriori e interiori delle situazioni in cui l’azione si svolge. Ne segue che l’attore prova i sentimenti del personaggio e penetra nel suo mondo. Per far si che il suo stato d’animo sia quello del personaggio, ricorre alla memoria emotiva. Ricorda emozioni, sentimenti passati che siano simili a quelli del personaggio. L’interpretazione può variare da rappresentazione a rappresentazione perché crea sempre qualcosa di nuovo. Lavora sul proprio inconscio, collegandosi a quello dello spettatore. Lo stimola e arriva alla verità psicologica che emoziona il pubblico.

21. L’OTTOBRE TEATRALE

Nel 1917 Mejerchol’d si affianca a scrittori come Alexandr Blok e Vladimir Majakovskij. Di quest’ultimo metterà in scena nel 1918 Misterija-Buff (Mistero Buffo) dichiarando la propria adesione alla Rivoluzione d’ottobre e abbandonando così definitivamente i Teatri Imperiali. E’ dalla confusione della rivoluzione, che Mejerchol’d concepisce nuove teorie su un teatro tutto popolare, sarà la TEO* di Pietrogrado, di cui è vicepresidente, a diffonderle. Questo teatro gioca tutto sul miscuglio di elementi circensi ed elementi tratti dalla commedia dell’arte. Suo intento, è quello di spronare la massa, di incoraggiarla, di vivacizzarla. Il primo passo è la FEX*, la Fabbrica dell’Attore Eccentrico. Inoltre Mejerchol’d insegna nei KURMASCEP impegnandosi nella formazione di nuovi registi teatrali, non solo registi ma anche scenografi. Con l’Ottobre Teatrale, il Teatro si converte <<in tribuna di propaganda, parlando il linguaggio rovente della rivoluzioni>>[6], chiede <<spettacoli tendenziosi, implicati nelle formule del comunismo>>[7]. I teatri devono <<immettersi nella dinamologia dell’immensa sollevazione, riflettere il calpestio delle piazze, gli intenti del proletariato>>[8]. Mejerchol’d inaugura l’Ottobre Teatrale con la messa in scena di Les Aubes di Verhaeren, che più un testo è una sceneggiatura, il 7 novembre 1920 al Teatro RSFSR 1°, nome che indica che il teatro deve essere un battaglione numerato che indossa l'uniforme dello Stato. Gli attori indossano costumi di tela laccata grigio argento. Con voce rauca intonano monologhi esortativi, quasi un comizio, su cubi dallo stesso colore degli abiti. Non solo cubi, anche altre figure geometriche incombono sul palcoscenico, come cerchi, triangoli, superfici inclinate di latta. Il teatro diventa la piazza cittadina sovietica delle manifestazioni. Bandiere rosse, colpi d'arma da fuoco, la folla presente sul palcoscenico (coro) e la folla presente nel pubblico, che rappresenta i partecipanti alle assemblea. Il pubblico canta, urla, applaude, fischia, intona l'Internazionale e legge i volantini di propaganda che cadono dal cielo del teatro. Tutti sono liberi, nel teatro di Mejerchol'd tutti sono attori.
5. Le Cocu Magnifique. Gli attori biomeccanici e allestimento costruttivista.

Il 1° maggio 1921, festa dei lavoratori, Mejerchol'd coglie l'occasione di presentare il manifesto del programma del RSFSR 1°, la seconda versione di Mistero Buffo di Majakovskij, al quale egli stesso prende parte come attore. Gli attori provengono dai Teatri Autogestiti dell'Armata Rossa o quelli delle Organizzazioni Operaie. Il testo è decisamente “minimalista” ed appare quasi come un quotidiano locale che racconta i fatti del giorno. E il Balagan ritorna in scena. Allo stesso piano del pubblico vi è un emisfero girevole, metà terra, metà inferno. Tanti i piani sovrapposti sul palcoscenico, un palcoscenico frammentato e tante le maschere, le caricature, che agiscono sarcasticamente ridicolizzando la cara e vecchia borghesia da ammazzare. Maschere sociali, il borghese dalla pancia bella grossa, lavoratori che danno calci agli zanni del capitalismo, menscevichi. Alla commedia dell'arte si mesce il circo. Molti i numeri dinamici, come quello dell'acrobata Lazarenko sul trapezio infernale. I personaggi sono unificati dalla tuta da lavoro. Nei costumi e nella recitazione, gli attori sono operai che costruiscono uno spettacolo, che rivitalizza il pubblico. Il 25 aprile 1922 Mejerchol’d mette in scena il terzo spettacolo-manifesto dell’Ottobre teatrale. Trattasi di Le Cocu Magnifique di Crommelynch, uno psicodramma, reso “meccanodramma”. Gli attori indossano tute di tela. Gli uomini indossano dei pantaloni, gonfiatissimi sulla coscia, che dal polpaccio in giù aderiscono alla gamba. Al di sopra pesanti stivali neri. Liubòv Popova, crea sul palcoscenico, al loro servizio, una struttura assurda, costruita su una impalcatura di legno. Due scalette laterali conducono gli attori, su questo piattaforme di legno che sono legate da un superficie leggermente inclinata. Vi è poi un vero è proprio scivolo che riconduce a terra. Al centro un disco girevole che reca disordinatamente le consonanti dell’autore. Ruote, ali di mulini al vento completano questo “mostro” costruttivista. Le Cocu Magnifique è il trionfo del costruttivismo come della Biomeccanica. Gli attori concretizzano l’astrattezza della struttura con il proprio corpo: si arrampicano, “caprioleggiano”, slittano, volteggiano vivacemente e con movimenti precisi; giocano con tele, brandelli. Gli intrecci narrativi, l’interiorità dei personaggi sono esplicitati dagli esercizi spazio dinamici.

22. LA BIOMECCANICA

A scrivere è Sergej M. Ejzenstejn, allievo di Mejerchol'd al GVYTM, nato dalla fusione del GVYRM, dove insegna scienze della scena, e il Laboratorio di tecniche dell'attore:

Nata dallo strudio del sistema del movimento scenico, e con lo scopo di costruirne uno nuovo, grazie a una ricerca profonda e meditata, la biomeccanica ci fornisce le basi del movimento dell'organismo umano in quanto tale e la possibilità di pensare una nuova meccanica dell'uomo in movimento, cioè della sua nuova organizzazione motoria. Le leggi della biomeccanica si basano sullo studio dettagliato e sulla conoscenza della struttura fisiologica dell'organismo umano. Sulla base dei dati appresi dall'osservazione dell'organismo umano, la biomeccanica aspira a creare un uomo che studi il meccanismo della propria struttura, in modo che possa idealmente dominarlo e perfezionarlo. L'uomo contemporaneo, poiché vive nell'epoca della meccanizzazione, non può evitare di meccanizzare gli elementi motori del proprio organismo. Con la biomeccanica si fissano i principi dell'esecuzione precisa e analitica di ogni elemento, per ciascuno di essi viene stabilito infatti l'elemento preciso che lo contraddistingue, allo scopo di raggiungere la massima precisione nel mostrare il taylorismo visivo del movimento. […] L'attore contemporaneo deve essere sulla scena come il motore di un'auto moderna. […] La creazione della biomeccanica è come la creazione stessa dell'uomo adattato nelle sue manifestazioni motorie alle condizioni della nuova vita meccanizzata. Nel teatro – interprete dell'atmosfera sociale di una data epoca – sono necessari attori educati secondo il nuovo sistema.[10]

La biomeccanica nasce nel 1922. E' una tecnica preparatoria per l'azione teatrale ed è basata su una sequenza di esercizi che conducono alla scoperta e allo studio dei meccanismi che ci celano dietro al movimento naturale. La scienza a teatro, è il massacro dell'arte. Questa serie di esercizi, previsti in funzione della recitazione. Questi esercizi consentono all'attore di prendere coscienza del proprio corpo, il corpo “macchina”. L'attore è il costruttore e lavora con propria macchina, che produce movimenti perfetti. L'attore è colui che organizza il proprio materiale ed è il materiale stesso. Il linguaggio biomeccanico è lo stesso della Rivoluzione, collettività, efficienza produttività.
6. Esercizio biomeccanico del “tiro con arco”.
La recitazione mejerchol'diana si basa sulla riflessologia di Pavlov che prevede la sollecitazione massima dei propri riflessi e la riduzione del processo cosciente, agendo quasi da incosciente. Mejerchol'd trae esempio anche dalla teoria periferica delle emozioni di William James, che prevede che un soggetto quando vede qualcosa che lo terrorizza, prima il corpo risponde fisicamente, tremando, la paura, l'emozione è soltanto la presa di coscienza di un disturbo fisico causato dalla percezione. L'attore biomeccanico percepisce, agisce e prova. E' il movimento a tradurre l'emozione. Ma alla base della biomeccanica non vi è solo scienza, vi è il linguaggio internazionale di Chaplin, un realista convezionale, come vi sono anche le teorie sul montaggio di Ejzenstejn,. Gli esercizi biomeccanici, vi sono di semplici come di complessi, alcuni tratti dalla commedia dell'arte, altri dal teatro orientale, altri ancora da situazioni di vita teatralizzata, altri semplici esercizi ginnici. Gli attori quindi si impegnano a dare schiaffi, a inciampare, a saltare sulla schiena del collega e lasciarsi trascinare, a lanciare il pallone in aria,a tirare l'arco e non solo. Gli esercizi sono sempre accompagnati dalla musica. Il ritmo del movimento lo si trova attraverso la musica. Il gesto, il movimento preciso rendono con più chiarezza quel che l'attore ha dentro. Gesti e musica non sono sincronizzati. La musica scandisce il tempo. Movimento implicito è considerato anche la pausa. Il volto non ha rughe, non sorride, dagli occhi non escono lacrime. Il volto non ha plasticità, manca di espressione. Un volto morto, che non risponde ai segnali esterni, impassibile. Ma il volto nella sua inespressività è espressivo grazie ai movimenti del corpo. La tristezza come la felicità sono espresse dalle posture. Spesso il volto è coperto dalla maschera, la maschera racchiude in sé il grottesco mejercholdiano, l'attore che è personaggio, l'attore che è solo attore e che osserva il personaggio. E il pubblico impazzisce perché l'attore cambia, improvvisa in base alle sue esigenze. E lo spettacolo risulta sempre diverso. Lo spettatore ne esce estasiato o turbato, ma ne esce vivo, perché Mejerchol'd lo ha risvegliato.

Bibliografia

Angelo Maria Ripellino, Il trucco e l’anima, Torino, 2002.
Anna Stomeo, Intrecci: teatro-educazione-new media vol.2 – Il teatro del Novecento tra antropologia e nuovi media, Amaltea Edizioni, 2006.
Anton Čechov, Il Gabbiano, Einaudi, 1997.
Beatrice Picon-Vallin, Mejerchol’d, Paris, MTTM edizioni, 2006.
Donatella Gravrilovich, Profumo di Rus’, Roma, Bulzoni, 1993.
Leo Hulanicki, David Savignac, Anton Čexov as a master of story-writing: essays in modern Soviet literary criticism, Mouton, 1976.
Isabella Innamorati, Silvana Sinisi, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Mondadori Bruno , 2003, p. 162. V.E. Mejerchol’d, a cura di Donatella Gravrilovich, La rivoluzione teatrale, Roma, Editori riuniti, 1962. V. E. Mejerchol’d, a cura di Fausto Malcovati, L’attore biomeccanico, Milano, Ubulibri, 1993.
Sergej M. Ejzenstejn, Sulla biomeccanica. Azione scenica e movimento, Armando Editore, 2009.

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[ 1 ]. Isabella Innamorati, Silvana Sinisi, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Mondadori Bruno , 2003, p. 162.
[ 2 ]. Leo Hulanicki, David Savignac, Anton Čexov as a master of story-writing: essays in modern Soviet literary criticism, Mouton, 1976, p. 40
[ 3 ]. Anton Čechov, Il Gabbiano, Einaudi, 1997
[ 4 ]. Anna Stomeo, Intrecci: teatro-educazione-new media vol.2 – Il teatro del Novecento tra antropologia e nuovi media,Amaltea Edizioni, 2006
[ 5 ]. Anna Stomeo, Intrecci: teatro-educazione-new media vol.2 – Il teatro del Novecento tra antropologia e nuovi media,Amaltea Edizioni, 2006
[ 6 ]. Angelo Maria Ripellino, Il trucco e l’anima, Torino, 2002.
[ 7 ]. Ibid;
[ 8 ]. Ibid;
[ 10 ]. Sergej M. Ejzenstejn, Sulla biomeccanica. Azione scenica e movimento, Armando Editore, 2009.

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